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Dopo essere stato un bene di consumo d’importazione, riservato alle élites principesche, dalla metà del VII secolo a. C. il vino diviene in Etruria un prodotto di largo uso.
La produzione locale soddisfa la diffusa richiesta della popolazione, come testimoniano i corredi da vino nelle tombe arcaiche.
La sovrapproduzione di vino – soprattutto nei territori di Vulci e di Caere – può perfino essere esportata verso occidente, insieme al vasellame di bucchero che ne costituisce il corredo.
Il commercio del vino è documentato dalla presenza di anfore e buccheri nei relitti arcaici lungo il percorso, tra l’arcipelago toscano e le coste meridionali della Francia, così come negli abitati della stessa costa e dell’interno.
Nella valle dell’Albegna, presso il Podere Tartuchino, è stata scavata una delle fattorie etrusche che popolavano l’area: fu attiva tra la fine del VI e la fine del IV secolo a.C. e produceva vino, come provano il grosso orcio in cui finiva il mosto e i numerosi semi di vitis vinifera rinvenuti.
Anche per gli abitanti dell’insediamento fortificato di Ghiaccio Forte -vissuto fino agli inizi del III° secolo a. C.- l’agricoltura e, probabilmente la coltivazione della vite, erano una risorsa fondamentale.
Nel deposito votivo legato al culto della salute e della fecondità, tanto animale che della terra, si contano anche due bronzetti di offerenti con la roncola, strumento tipico del vendemmiatore.
La valorizzazione della vite continua anche in epoca medioevale (Aldobrandeschi, le signorie degli Sforza) e con gli stessi Medici di Firenze.
All’epoca, severe norme statutarie tutelavano le esigenze dei vigneti (es. citazioni previste dagli statuti della comunità del Cotone e di Scansano.
Sempre in questo territorio, nel 600 gli Spagnoli nello Stato dei Presidi piantarono il loro vitigno alicante, le cui uve andarono ad aggiungersi a quelle tradizionali del posto dando vita a vini di grande qualità.
Ma è dal secolo scorso che avviene la piena valorizzazione della produzione locale e la nascita del “Morellino di Scansano” che prende il nome probabilmente dai cavalli “morelli” che hanno popolato la zona e trainavano le carrozze anche durante il periodo “dell’estatatura“.
In scritti del secolo scorso si legge: “Come i vini di Magliano in T., Pereta, Scansano sono eccellenti ed in pochi luoghi il vino si produce di qualità così squisita” e che il vino di Scansano “assomiglia alquanto al Chianti“.
All’epoca un particolare impulso alla viticoltura locale venne dato anche dalla comunità di Scansano. Nel nostro archivio sono ampiamente documentati i progressi tecnici effettuati grazie al lavoro di studiosi come i Vannuccini che proposero un nuovo sistema di allevamento a “basso ceppo“, ad solo “sperone a tralcio a frutto” e la nascita di una nuova sistemazione della vigna in unità dette “rasole“.
Così con l’aiuto dell’Associazione Agraria della Provincia di Grosseto e del Comune di Scansano nacquero numerose manifestazioni e premi tesi a valorizzare il prodotto ed i coltivatori meritevoli.